Sono davvero tanti gli importanti reperti architettonici e archeologici calabresi meritevoli di particolare attenzione, perché accomunati dalla loro unicità. Alcuni di questi monumenti, infatti, pare siano gli unici esempi presenti in tutto il Sud Italia. Uno di questi è una piccola chiesetta antica sita cinque chilometri prima dell’abitato di Staiti, conosciuto anche come il borgo più piccolo della Calabria (meno di 250 abitanti). Ci troviamo nella zona del piccolo comune di Brancaleone, in provincia di Reggio Calabria.
Il Comune di Staiti fornisce informazioni per raggiungere la piccola chiesa: indicazioni necessarie sul percorso, le condizioni della strada e la distanza dal piccolo paese, e anche la possibilità di visitare il museo dei Santi Italo-Greci- nel paese.
Fruizione e gestione sono di competenza del Comune e per potervi accedere, serve la prenotazione e l’orario di arrivo.
Imboccando la strada che porta a Staiti, subito il paesaggio è incontaminato, le colline vestite dei colori di autunno, i greggi a pascolare.
Le absidi della piccola Chiesa s’intravedevano tra le colline e le distese di ulivi già dalla strada. Qualcuno definisce l’area e la chiesa stessa la San Galgano del sud, per la sua suggestività e le pareti perimetrali sopravvissute al tempo e alle calamità, non avendo più un tetto o una cupola da sorreggere, si ergono verso il cielo a ricongiungersi con Dio.
Il monumento si presenta oggi corroso dal tempo. Si presume che l’antica chiesa, in origine, facesse parte di un convento ormai scomparso. Parte della navata centrale, così come parte delle pareti laterali e la cupola, sono andati perduti e, successivamente ripresi. Rimangono ancora in piedi il corpo della zona presbiteriale, con un piccolo accenno di cupola, crollata forse due secoli fa, e la facciata d’accesso alla chiesa.
La sua datazione è controversa. Alcuni studiosi ritengono che sia stata edificata nella seconda metà del XI secolo (secondo le teorie di Paolo Orsi e Stefano Bottari), ed è proprio la data indicata sul cartello; altri sostengono che sia stata costruita nella prima metà del XII secolo. È certa, comunque, la collocazione del monumento in un’epoca successiva all’occupazione normanna della Calabria (conclusa nel 1060 con la presa di Reggio Calabria).
Sulla sua fondazione sono state infatti formulate varie ipotesi: una prima leggenda narra che sulla stessa area, sorgesse un piccolo tempio edificato dai locresi nel V-VI secolo a.C., costruito per ringraziare il Dio Nettuno per averli salvati da una tempesta, la cui statua era coperta da un prezioso mantello gemmato, poi trafugato da Annibale durante la sua permanenza sulla costa ionica calabrese per punire i Locresi, alleati di Roma. In quel periodo, infatti, si doveva scegliere se schierarsi con Annibale o con Roma, e molte colonie magnogreche scelsero Roma per questioni politiche.
Partendo dal presupposto che un tempio doveva preesistere, i basiliani se ne impossessarono tra il VII e l’VIII secolo, trasformandolo in una Chiesa greca in onore della Madonna del Tridente (chiara allusione alla divinità del mare), poi divenuto Tridetti. Secondo altre fonti, invece, la parola potrebbe derivare dal greco tridactilon (tre dita) per indicare il Bambino benedicente in braccio alla Vergine.
L’unico documento che però viene pervenuto sulla chiesa risale al 1060 e al suo interno si fa riferimento a un privilegio del Conte Ruggero d’Altavilla, il quale dispose l’assegnazione di parte delle rendite della badia al Capitolo di Bova, dal quale la stessa chiesa dipendeva.
Gli studiosi ritengono che per procedere a un’operazione del genere non soltanto il monastero brasiliano sarebbe dovuto esistere prima del 1000, ma a quella data doveva già avere la sua rilevanza liturgica. Paolo Orsi, archeologo sovrintendente alle antichità e alle belle arti della Calabria, scopritore di moltissimi tesori archeologici in Calabria, tra cui il sito archeologico delle terme di Kaulon, che scoprì la struttura nel 1912, ne fissa l’origine all’XI secolo, parlando appunto della preesistenza di un piccolo tempio.